DALLA CADUTA DI MILETO  ALLA       BATTAGLIA DI MARATONA


Prima parte


1)Così morì Aristagora, dopo aver scatenato la ribellione ionica. Istieo, il tiranno di Mileto, congedato da Dario, arrivò a Sardi. Una volta giunto lì da Susa, il governatore di Sardi Artafrene gli chiese quale fosse a suo parere la ragione della rivolta ionica: Istieo rispose di non conoscerla, e palesò stupore per l'accaduto, come se fosse ignaro della situazione. Artafrene che conosceva la verità sull'insurrezione, vedendolo tentare raggiri, disse: "Istieo, le cose stanno così: questa scarpa l'hai cucita tu e se l'è infilata Aristagora".

2) Parlò così Artafrene alludendo alla ribellione; Istieo, pensando che Artafrene sapesse tutto, ebbe paura e fuggì verso il mare allo scendere della prima notte; aveva ingannato Dario fino in fondo: dopo avergli promesso di conquistare la Sardegna, la più grande delle isole, di nascosto aveva assunto il comando degli Ioni nella guerra contro Dario. Sbarcato a Chio, fu messo in carcere dai Chii, che lo sospettarono di voler mestare contro di loro per ordine di Dario. Quando i Chii appresero la verità, cioè che era ostile al re, lo liberarono.

3) A questo punto gli Ioni gli domandarono perché avesse ordinato così caldamente ad Aristagora di ribellarsi al re e avesse arrecato tanto danno agli Ioni; e Istieo non rivelò affatto la vera ragione: rispose invece che Dario aveva progettato di stabilire in Ionia i Fenici, sradicati dalle loro sedi, e gli Ioni in Fenicia; ecco perché aveva inviato l'ordine. In realtà Dario non aveva mai avuto in mente un progetto del genere: Istieo cercava solo di mettere paura agli Ioni.

4) Poi Istieo, servendosi di Ermippo di Atarne come messaggero, inviò lettere ai Persiani presenti a Sardi che avevano parlato con lui della rivolta. Ermippo non recapitò le lettere ai destinatari, ma le mise nelle mani di Artafrene; il quale, informato su tutta la faccenda, ordinò a Ermippo di recapitare le lettere ai destinatari, ma di consegnare a lui le risposte dei Persiani per Istieo. Venuto alla luce l'intrigo, Artafrene mandò a morte in questa circostanza parecchi Persiani.

5) A Sardi dunque ci furono torbidi. I Chii condussero Istieo a Mileto; deluso in quest'ultima speranza, lo aveva chiesto lui stesso. Ma i Milesi, contenti di essersi liberati anche di Aristagora, non erano affatto entusiasti di accogliere nel paese un altro tiranno; ormai avevano gustato la libertà. Istieo, mentre una notte tentava di rientrare a Mileto con la forza, fu ferito a una coscia da uno dei Milesi: vistosi bandito dalla propria patria, fece ritorno a Chio. Ma non riuscendo a persuadere gli abitanti a fornirgli le navi, se ne andò da lì a Mitilene, dove convinse i Lesbi a dargliene. Equipaggiarono otto triremi e fecero vela con Istieo verso Bisanzio: stazionando in quelle acque si impadronivano delle navi in uscita dal Ponto, risparmiando solo le navi di chi si dichiarava disposto a obbedire a Istieo.

6) Questo facevano Istieo e i Mitilenesi. Intanto proprio contro Mileto si attendeva l'assalto di una flotta numerosa e di ingenti truppe terrestri; infatti i generali persiani, riunitisi, avevano formato un unico esercito e avanzavano su Mileto (le altre città le tenevano in minore considerazione). I più zelanti nella flotta erano i Fenici; partecipavano alla spedizione anche i Ciprioti, di recente sottomessi, Cilici ed Egiziani.

7) Essi dunque procedevano contro Mileto e il resto della Ionia; gli Ioni, appena lo seppero, inviarono delegati delle varie città al Panionio. Qui giunti, presero consiglio e decisero di non raccogliere nessun esercito terrestre da opporre ai Persiani (i Milesi dovevano difendere da soli le loro mura) e di equipaggiare invece la flotta, senza dimenticare una sola nave; dopodiché, si sarebbero concentrati al più presto a Lade per combattere sul mare in difesa di Mileto. Lade è una piccola isola situata proprio di fronte a Mileto.

8) In seguito con gli equipaggi completi gli Ioni vennero a Lade e con essi gli Eoli di Lesbo; ecco come si disposero: i Milesi occuparono l'ala orientale con 80 navi, seguivano quelli di Priene con 12 unità, quelli di Miunte con tre, accanto i Tei con 17 e i Chii con cento; dopo venivano nello schieramento gli Eritrei e i Focei, rispettivamente con otto e tre navi; poi i Lesbi con 70 vascelli. Ultimi sull'ala destra furono dislocati i Sami con 60 navi. Il numero complessivo ammontava a 353 triremi.

9) Tali erano le forze degli Ioni; le navi dei barbari erano 600. Quando queste ultime giunsero di fronte alle coste di Mileto, e in appoggio avevano l'intero esercito di terra, tuttavia i generali persiani, appreso il numero delle navi ioniche, ebbero paura di non riuscire a prevalere; in tal modo non sarebbero stati in grado di espugnare Mileto, non avendo il controllo del mare, e inoltre avrebbero rischiato una punizione da parte di Dario. Con questi pensieri radunarono i tiranni degli Ioni che, spodestati da Aristagora di Mileto, si erano rifugiati presso i Medi e che in quel momento partecipavano alla spedizione contro Mileto. Convocati quelli che si trovavano sul posto, dissero: "Ioni, ora mostrate di agire per il bene della casa reale: ciascuno cerchi di staccare i propri concittadini dal resto degli alleati; notificategli la promessa che non subiranno alcuna spiacevole conseguenza della rivolta, che non verranno bruciati né i loro santuari né le case private, che non verranno trattati in modo più duro di prima; ma se non si arrenderanno e attaccheranno battaglia a ogni costo, prean nunciatela già, con toni minacciosi, la sorte che toccherà loro: sconfitti sul campo, saranno ridotti in schiavitù; castreremo i figli maschi e deporteremo le femmine a Battra; e la loro terra la daremo ad altri".

10) Queste furono le loro parole; e ogni tiranno inviò di notte un nunzio a riferirle ai suoi concittadini. Gli Ioni raggiunti da questi messaggi mostrarono la loro follia e non accettarono di abbandonare gli alleati: tutti, città per città, credevano che i Persiani si fossero rivolti soltanto a loro.

11) Questi fatti accadevano subito dopo l'arrivo a Mileto dei Persiani. In seguito fra gli Ioni riuniti a Lade si svolsero varie assemblee, nelle quali, immagino, presero la parola anche altri, ma in particolare ecco cosa disse lo stratego di Focea Dionisio: "La nostra situazione è sul filo di un rasoio: essere liberi o schiavi, e schiavi che hanno tentato la fuga! Ebbene, se siete disposti ad addossarvene il peso, lì per lì per voi sarà dura, ma potrete sbaragliare i nemici ed essere liberi; se invece vi adagerete nella fiacchezza e nel disordine, non nutro nessuna speranza per voi: pagherete al re la vostra ribellione. Via, seguite i miei consigli, affidatevi a me; e io vi prometto, se gli dèi si mantengono imparziali, che i nemici o non daranno battaglia, oppure, una volta venuti allo scontro, subiranno una netta sconfitta".

12) Udito ciò, gli Ioni si affidarono a Dionisio. Ed egli ogni giorno portava al largo le navi in colonna: quando aveva allenato i rematori con manovre di sfondamento fra gli schieramenti e aveva addestrato gli equipaggi all'uso delle armi, tratteneva i battelli all'ancora per il resto del giorno e faceva penare gli Ioni dal mattino alla sera. Per sette giorni gli Ioni obbedirono ed eseguirono gli ordini, ma all'ottavo, disabituati com'erano a simili sforzi, sfiniti dalle fatiche e dal sole, si dissero l'un l'altro: "Ma quale dio abbiamo offeso per subire tutto questo? Siamo impazziti, ci ha dato di volta il cervello? Ci siamo messi nelle mani di un millantatore di Foceo, che di navi ne ha tre! Da quando ci ha accalappiati, ci tartassa e ci rovina senza rimedio; già molti di noi si sono ammalati e molti si apprestano a fare la stessa fine. È meglio patire qualunque altra cosa che non queste sofferenze e aspettare la futura schiavitù piuttosto che essere oppressi dall'attuale. Via via, d'ora in avanti non diamogli più retta". Così dissero, dopodiché, subito, nessuno voleva più obbedire, anzi, piantate le tende sull'isola come truppe di terra, se ne stavano all'ombra e rifiutavano di reimbarcarsi e di riprendere le esercitazioni.

13) Informati di ciò che accadeva fra gli Ioni, gli strateghi di Samo accolsero allora l'appello che a essi aveva già prima rivolto Eace, figlio di Silosonte, per ordine dei Persiani, e cioè l'invito ad abbandonare l'alleanza degli Ioni; i Sami accettarono la proposta vedendo il gran disordine che regnava fra gli Ioni; nel contempo si rivelava impossibile ai loro occhi avere la meglio sul re; sapevano bene, infatti, che anche se avessero travolto la flotta presente, ne avrebbero avuta un'altra di fronte cinque volte più grande. Colto il pretesto, appena ebbero constatata la mancanza di buona volontà degli Ioni, ritenevano vantaggioso salvare i propri templi e le proprie case. Eace, alle cui proposte aderirono, era figlio di Silosonte, figlio di Eace: tiranno di Samo, era stato deposto da Aristagora di Mileto come gli altri tiranni della Ionia.

14) Quando i Fenici mossero all'attacco, gli Ioni presero il largo anch'essi con le navi in colonna. A partire dal momento in cui furono vicini e si scontrarono, non sono più in grado di registrare esattamente quali Ioni si comportassero da codardi o da valorosi in questa battaglia navale: in effetti si accusano a vicenda. Si narra che i Sami, secondo gli accordi presi con Eace, spiegate le vele si allontanarono dallo schieramento in direzione di Samo, a eccezione di undici navi, i cui capitani rimasero a combattere disobbedendo agli strateghi. Per questo gesto a costoro, come a uomini di provato valore, lo stato di Samo concesse di scolpire i loro nomi e patronimici su una stele, stele collocata nella piazza centrale. A loro volta i Lesbi, avendo visto fuggire i propri vicini di schieramento, imitarono i Sami; e lo stesso fece anche il grosso degli Ioni.

15) Tra i rimasti a combattere i Chii subirono le perdite maggiori perché compirono splendide imprese e rifiutarono di comportarsi da codardi; avevano fornito, come ho già detto, 100 navi, e su ognuna erano imbarcati 40 soldati scelti reclutati fra i cittadini; pur vedendo il tradimento della maggior parte degli alleati, sdegnarono di imitare i vigliacchi; anzi, rimasti soli con pochi alleati, combatterono tentando manovre di sfondamento fra le file nemiche, finché, distrutte molte navi avversarie, non ebbero perduto la maggior parte delle loro.

16) Con le superstiti i Chii si ritirarono verso la loro città. I Chii, le cui navi non tenevano più il mare a causa delle avarie, vistisi incalzati, ripararono a Micale. Qui spinsero in secca le navi, le abbandonarono e a piedi proseguirono nell'entroterra. Ma quando nella loro marcia penetrarono nel territorio di Efeso (e vi giunsero di notte proprio mentre le donne stavano celebrando la festa delle Tesmoforie), allora gli Efesini, non ancora al corrente delle vicende dei Chii e vedendo il loro paese invaso da uomini in armi, credendoli senz'altro predoni venuti a rapire le donne, accorsero in massa e li massacrarono.

17) Tale sorte toccò ai Chii. Dionisio di Focea, quando capì che la causa degli Ioni era perduta, dopo aver catturato tre navi nemiche, si allontanò, ma non più verso Focea che, ne era sicuro, sarebbe stata ridotta in schiavitù come il resto della Ionia; quanto più direttamente poteva se ne andò in Fenicia. Qui affondò dei mercantili e si impadronì di parecchio denaro; e fece vela verso la Sicilia dove stabilì la sua base per azioni di pirateria, non già ai danni dei Greci, ma dei Cartaginesi e dei Tirreni.

18) I Persiani, dopo la vittoria navale sugli Ioni, assediarono Mileto per terra e per mare; scavando sotto le mura e ricorrendo a macchine di ogni tipo la conquistarono totalmente in capo a cinque anni dalla ribellione di Aristagora. Ridussero in schiavitù la popolazione, sicché la sua sorte corrispose con l'oracolo emanato a proposito di Mileto.

19) Infatti agli Argivi che a Delfi chiedevano lumi sulla salvezza della loro città era stato dato un responso cumulativo, una parte del quale riguardava gli Argivi stessi, mentre l'aggiunta valeva per i Milesi. Il vaticinio relativo agli Argivi lo citerò al momento opportuno, quello riferito ai Milesi, che non erano presenti, dice così:...”Macchinatrice di mali, Mileto, tu splendido dono, Diventerari, nonchè pranzo di molti. Ed i piedi lavare, Di molta gente dai lunghi capelli dovran e tue spose. Del nostro tempio di Didimi prenderà cura altra gente”... (E allora, o Mileto, macchinatrice di male imprese, diventerai banchetto e splendido dono per molti, le tue spose laveranno i piedi a molti uomini dai lunghi capelli, e altri avranno cura del nostro tempio di Didima). Queste sventure colsero i Milesi allora, quando appunto gli uomini furono in gran parte uccisi dai Persiani, che portano lunghi capelli, donne e bambini furono trattati come schiavi e il santuario di Didima, il tempio e l'oracolo, vennero saccheggiati e dati alle fiamme. Delle ricchezze presenti in questo santuario ho fatto spesso menzione in altre parti del mio racconto.

20) Poi i prigionieri di Mileto furono condotti a Susa. Re Dario, senza infierire su di loro, li stanziò presso il mare cosiddetto Eritreo, nella città di Ampe, lungo la quale scorre e sfocia in mare il Tigri. Nella regione di Mileto i Persiani stessi occuparono la zona della città e la pianura, la parte collinare la assegnarono in possesso ai Cari di Pedasa.

21) I Milesi subirono queste disgrazie a opera dei Persiani, ma i Sibariti, che vivevano a Lao e a Scidro, privati della loro città, non ricambiarono un loro antico gesto di amicizia: quando Sibari era caduta in mano ai Crotoniati, tutti i Milesi adulti si erano rasi il capo e avevano proclamato, in aggiunta, un grande lutto; Mileto e Crotone in effetti erano le due città più legate da vincoli di ospitalità che io conosca. Non così si regolarono gli Ateniesi, i quali espressero il loro profondo dolore per la presa di Mileto in vari modi; fra l'altro Frinico compose e mise in scena una tragedia sulla presa di Mileto e tutto il teatro scoppiò in lacrime; allora gli fu inflitta una multa di mille dracme per aver rievocato una sciagura nazionale e si ordinò che nessuno mai più utilizzasse quel dramma.

22) A Mileto dunque Milesi non ce n'erano più. In Samo a quanti possedevano qualcosa non era affatto piaciuto il comportamento dei loro strateghi verso i Medi; subito dopo lo scontro navale decisero in consiglio di partire per fondare una colonia prima che Eace rientrasse da tiranno nel loro paese, senza aspettare di essere schiavi suoi e dei Medi. Proprio in quel periodo gli Zanclei di Sicilia, per mezzo di messaggeri inviati in Ionia, invitavano gli Ioni a Calacte dove volevano creare una città ionica. La riviera chiamata Calacte è nel paese dei Siculi, sulla costa tirrenica della Sicilia. Malgrado gli inviti, partirono solo gli Ioni di Samo e con essi i fuggiaschi di Mileto. In tale occasione ecco cosa accadde.

23) I Sami, in viaggio verso la Sicilia, arrivarono a Locri Epizefiri, mentre gli Zanclei e il loro sovrano, di nome Scite, assediavano una città dei Siculi che intendevano conquistare. Quando lo seppe il tiranno di Reggio Anassilao, allora in lite con gli Zanclei, parlamentò con i Sami e li convinse che gli conveniva lasciar perdere Calacte dove erano diretti e occupare invece Zancle, rimasta priva di difensori. I Sami gli diedero retta e si impadronirono di Zancle; gli Zanclei, appena al corrente che la loro città era stata occupata, corsero in sua difesa invocando l'aiuto del tiranno di Gela Ippocrate, che era appunto loro alleato. Appena giunto con l'esercito di soccorso, Ippocrate mise in ceppi Scite, il signore unico di Zancle, con l'accusa di aver abbandonato la città, nonché suo fratello Pitogene, e li spedì a Inico. Poi, accordatosi con i Sami con reciproco scambio di giuramenti, tradì tutti i restanti Zanclei. Il compenso promessogli dai Sami era il seguente: a Ippocrate spettavano la metà dei beni mobili e degli schiavi di Zancle città e tutti i beni dei campi. Gli Zanclei in massa li trattò da schiavi, li mise in catene: i trecento di loro più eminenti li diede da giustiziare ai Sami. I Sami però non lo fecero.

24) Scite, il signore unico di Zancle, scappò da Inico a Imera; passato poi da Imera in Asia, si recò presso re Dario. Dario lo giudicò l'uomo più onesto fra quanti si erano presentati a lui dalla Grecia; in effetti, dopo aver chiesto al re il permesso, era andato in Sicilia e dalla Sicilia era tornato indietro dal re; finché morì di vecchiaia in Persia, colmo di ricchezze. I Sami, ormai lontani dai Medi, si trovarono in mano loro senza fatica la bellissima città di Zancle.

25) Dopo la battaglia navale combattuta per Mileto, i Fenici su ordine dei Persiani ricondussero in patria Eace figlio di Silosonte, ritenuto uomo di altissimi meriti e autore di grandi servigi nei loro confronti. I Sami, per la defezione delle navi durante la battaglia, furono gli unici partecipanti alla rivolta contro Dario a non vedersi incendiati la città e i santuari. Subito dopo la presa di Mileto i Persiani occuparono anche la Caria; una parte delle città fece spontaneo atto di sottomissione, altre le piegarono a forza.

26) Così si svolgevano gli avvenimenti. Istieo di Mileto ricevette notizie dei fatti di Mileto mentre si trovava intorno a Bisanzio intento a catturare i mercantili ionici provenienti dal Ponto. Allora affidò le operazioni sull'Ellesponto a Bisalte di Abido figlio di Apollofane e si recò personalmente a Chio assieme a dei Lesbi. A Le Cave, località nel territorio di Chio, attaccò una guarnigione che gli vietava l'accesso; ne uccise parecchi; i rimanenti Chii, malridotti co m'erano per via del recente scontro navale, li sopraffece con i suoi Lesbi muovendo da Policne, sull'isola.

27) Di solito il dio invia dei segni premonitori, quando gravi sciagure stiano per abbattersi su una città e su un popolo. Anche per i Chii in effetti, si erano avuti presagi clamorosi. Di un coro di cento giovanetti inviato a Delfi, avevano fatto ritorno solamente in due, gli altri novantotto se li era presi e portati via un'epidemia. In città, in quello stesso periodo, poco prima della battaglia, il tetto di una scuola crollò sugli scolari che imparavano a leggere e a scrivere, tanto che di centoventi ragazzi se ne salvò uno solo. Questi segni il dio mandò loro! Più tardi gli capitò la battaglia navale che li mise in ginocchio. A essa si aggiunse Istieo con i suoi Lesbi che sottomise facilmente i Chii, in cattive condizioni com'erano.

28) Da Chio Istieo fece una spedizione contro Taso, alla testa di parecchi Ioni ed Eoli. Mentre assediava Taso, gli giunse notizia che i Fenici con le loro navi stavano muovendo da Mileto contro il resto della Ionia. Appena ne fu informato, lasciò Taso intatta e si affrettò verso Lesbo con tutte le sue truppe. Poiché i suoi uomini pativano la fame passò da Lesbo sul continente di fronte, per raccogliere il grano da Atarneo, il grano di Atarneo e quello della piana del Caico di proprietà dei Misi. Ma in questi paesi si trovava il persiano Arpago, al comando di un esercito non esiguo. Arpago attaccò Istieo che era appena sbarcato, lo fece prigioniero e massacrò la maggior parte dei suoi uomini.

29) Ed ecco come fu catturato Istieo. Greci e Persiani si scontrarono a Malene, nella regione di Atarneo: i fanti combattevano già da tempo quando sui Greci piombò la cavalleria, che si era mossa più tardi. La vittoria si dovette a questa carica della cavalleria; quando i Greci ormai erano in rotta, Istieo, sperando che il re non lo avrebbe messo a morte per la sua colpa, s'attaccò penosamente alla vita in questo modo: bloccato in fuga da un soldato persiano, ghermito e ormai sul punto di essere trafitto, parlando in lingua persiana si rivelò per Istieo di Mileto.

30) Ebbene, se dopo la cattura l'avessero condotto da Dario, a mio parere non gli sarebbe stato torto un capello, Dario lo avrebbe perdonato. Invece proprio per questo motivo e perché, scampato alla morte, non riacquistasse influenza alla corte del re, come giunse a Sardi sotto scorta, Artafrene, governatore di Sardi, e Arpago, che l'aveva arrestato ordinarono di impalarlo subito lì sul posto; la testa la imbalsamarono e la inviarono a Susa al re. Dario, appreso l'accaduto, rimproverò aspramente i responsabili per non averlo condotto vivo al suo cospetto e ordinò di lavare la testa, ricomporla con cura per le esequie e di darle sepoltura, perché era appartenuta a un grande benefattore suo e della Persia. E questa fu la fine di Istieo.

31) La flotta persiana, trascorso l'inverno nelle acque di Mileto, lasciò gli ormeggi l'anno seguente e s'impadronì facilmente delle isole affacciate sul continente, Chio, Lesbo e Tenedo. Ogni volta che conquistavano una delle isole, i barbari, prendendole una per una, ne catturavano gli abitanti come in una rete. La tecnica era la seguente: tenendosi per mano formavano una catena umana dalla costa nord alla costa sud, poi avanzavano attraverso l'isola alla caccia degli abitanti. Conquistarono anche le città ioniche del continente, allo stesso modo, ma senza le retate, poiché non era possibile.

32) In quella circostanza i generali persiani tennero fede alle minacce a suo tempo rivolte agli Ioni in campo contro di loro. Infatti, appena occupavano le città, sceglievano i ragazzi avvenenti e li eviravano, mutandoli in eunuchi da uomini che erano. Le ragazze più belle le portarono via e le destinarono al re; ecco come si comportavano e bruciarono le città con i santuari e tutto. E così per la terza volta gli Ioni furono ridotti in schiavitù; la prima volta c'erano riusciti i Lidi, allora i Persiani, per la seconda consecutiva.

33) Lasciata la Ionia, la flotta prese possesso di tutte le città situate sulla costa a sinistra di chi navighi entrando nell'Ellesponto: le città sulla destra erano già state sottomesse direttamente dai Persiani per via di terra. Ecco un elenco dei paesi europei dell'Ellesponto: il Chersoneso, dove sorgono molte città, Perinto, le rocche di Tracia, Selimbria e Bisanzio. I Bizantini e i loro dirimpettai Calcedoni non attesero l'arrivo delle navi persiane, ma abbandonarono la loro patria e si allontanarono in direzione del Ponto Eusino e si stanziarono a Mesembria. I Fenici, dopo aver dato alle fiamme tutte le regioni su elencate, si diressero su Proconneso e Artace; incendiarono pure queste, poi fecero vela nuovamente verso il Chersoneso per distruggervi tutte le rimanenti città che non avevano devastato nel precedente sbarco. Esclusero Cizico del tutto, perché i Ciziceni, prima ancora della spedizione navale fenicia, si erano sottomessi al re, accordandosi con Ebare, figlio di Megabazo, governatore di Dascilio. I Fenici si impadronirono di tutte le città del Chersoneso tranne Cardia.

34) Fino ad allora esse obbedivano al tiranno Milziade, figlio di Cimone e nipote di Stesagora; prima il potere assoluto se lo era procurato Milziade, figlio di Cipselo, come segue. Il Chersoneso lo possedevano i Traci Dolonci; questi Dolonci, premuti in guerra dagli Apsinti mandarono a Delfi i loro re per interrogare l'oracolo sul conflitto; la Pizia gli rispose di condurre con sé nel loro paese come fondatore di colonia la prima persona che li avesse invitati a banchetto dopo che erano usciti dal santuario. I Dolonci percorrendo la Via Sacra attraversarono Focide e Beozia; e poiché nessuno li invitava, deviarono in direzione di Atene.

35) A quell'epoca ad Atene tutto il potere era nelle mani di Pisistrato, però aveva molta influenza anche Milziade figlio di Cipselo, di una famiglia che allevava cavalli da quadrighe e risaliva come origini a Eaco e a Egina, ma che era divenuta ateniese in tempi più recenti (il primo esponente ateniese del casato fu Fileo, figlio di Aiace). Milziade seduto sulla soglia di casa sua, vedendo passare i Dolonci che vestivano abiti stranieri e portavano lance, li chiamò ad alta voce; quando gli si avvicinarono, gli offrì alloggio e vitto. Essi accettarono e dopo essere stati ospitati gli rivelarono tutta la profezia; quindi lo pregarono di obbedire al dio. Il discorso convinse subito Milziade, come lo ebbe udito, perché mal tollerava il potere di Pisistrato e non vedeva l'ora di allontanarsi da Atene. Partì immediatamente per Delfi per chiedere all'oracolo se doveva aderire alla richiesta dei Dolonci.

36) Poiché questo ordinava la Pizia, Milziade figlio di Cipselo, già vincitore a Olimpia nella corsa delle quadrighe, preso con sé ogni Ateniese desideroso di partecipare alla spedizione, si imbarcò con i Dolonci; prese possesso del paese e quelli che lo avevano guidato fin lì lo insediarono tiranno. Per prima cosa fortificò con una muraglia l'istmo del Chersoneso, dalla città di Cardia a Pattia, per impedire agli Apsinti di invadere il paese e di fare razzie; l'istmo misura trentasei stadi; dall'istmo in qua tutto il Chersoneso si estende per una lunghezza di 420 stadi.

37) Dopo aver fortificato la strozzatura del Chersoneso e aver eliminato in tal modo gli Apsinti, dichiarò guerra alle altre popolazioni, e per primi a quelli di Lampsaco; e i Lampsaceni, in un agguato, lo fecero prigioniero. Ma Milziade era in buoni rapporti con Creso di Lidia; perciò quando lo seppe, Creso mandò a dire ai Lampsaceni di lasciar andare Milziade; in caso contrario minacciava di "estirparli come pini". Mentre i Lampsaceni si perdevano in discussioni sul significato di quella minaccia, "estirparli come pini", faticosamente uno degli anziani cominciò a capire e ne diede l'esatta interpretazione: il pino è l'unico albero al mondo che, una volta reciso, non getta più germogli e muore definitivamente. Insomma, per paura di Creso i Lampsaceni liberarono Milziade e lo lasciarono andare.

38) Milziade scampò grazie a Creso. In seguito morì senza figli, lasciando il potere e i suoi beni a Stesagora, figlio di Cimone, suo fratello uterino. Dopo la sua morte, i Chersonesiti stabilirono di offrirgli sacrifici come vuole la norma per un fondatore, e istituirono in suo onore competizioni ippiche e ginniche precluse a tutti i Lampsaceni. Erano ancora in guerra contro Lampsaco quando anche a Stesagora toccò di morire, senza figli: fu colpito alla testa con una scure da un uomo che diceva di essere un transfuga ma che in realtà era un suo nemico, e non dei più tiepidi.

39) Perito così anche Stesagora, i Pisistratidi inviarono con una trireme a rinsaldare il potere nel Chersoneso Milziade, figlio di Cimone e fratello del defunto Stesagora; già ad Atene lo avevano ben trattato, come se non fossero implicati nella morte di suo padre Cimone, morte di cui chiarirò le circostanze in un'altra parte del mio racconto. Milziade, giunto nel Chersoneso, se ne stava in casa, naturalmente, per rendere i dovuti onori a suo fratello Stesagora. I signorotti locali del Chersoneso, quando lo seppero, si radunarono da ogni città e vennero tutti assieme con l'intenzione di dividere con lui le sue pene, ma lui li fece arrestare; mantenendo una truppa di cinquecento mercenari, tenne in mano sua il Chersoneso; e sposò Egesipile, la figlia del re dei Traci Oloro.

40) Questo Milziade figlio di Cimone era da poco ritornato nel Chersoneso, ma una volta giunto lì lo colsero altre sciagure, più rovinose di quelle che già lo avevano colpito. Infatti due anni prima di questi avvenimenti era dovuto scappare di fronte agli Sciti; gli Sciti nomadi, provocati da re Dario si erano riuniti insieme e spinti fino al Chersoneso; Milziade non attese il loro assalto e fuggì dal Chersoneso, finché gli Sciti non si ritirarono e i Dolonci non lo ebbero ricondotto indietro; questo era successo due anni prima delle cose che lo impegnavano in quel momento.

41) Allora, informato della presenza a Tenedo dei Fenici, caricò cinque triremi con le ricchezze che aveva sotto mano e partì per Atene: salpato da Cardia, attraversò il golfo di Melas; costeggiava il Chersoneso quando i Fenici intercettarono la sua flottiglia; con quattro navi Milziade riuscì a rifugiarsi a Imbro; la quinta fu inseguita e catturata dai Fenici. Al comando di questa nave si trovava il figlio maggiore di Milziade, Metioco, nato non dalla figlia del Tracio Oloro ma da un'altra donna. Assieme alla nave i Fenici catturarono anche lui, e quando seppero che si trattava del figlio di Milziade lo condussero dal re, convinti di acquistarsi molta benemerenza: perché Milziade fra gli Ioni aveva espresso il parere di ascoltare gli Sciti, quando gli Sciti chiedevano agli Ioni di smontare il ponte e di tornarsene a casa. Dario invece, quando i Fenici gli portarono Metioco, non gli fece alcun male. Anzi lo colmò di regali: gli donò una casa, un dominio, una donna persiana, dalla quale ebbe figli innalzati al rango di Persiani. Milziade intanto, era giunto da Imbro ad Atene.

42) Nell'arco di questo anno i Persiani non compirono alcun ulteriore atto di ostilità nei confronti degli Ioni; ecco anzi quali provvedimenti vantaggiosi per gli Ioni furono presi in quell'anno. Il governatore di Sardi Artafrene convocò i rappresentanti delle varie città e costrinse gli Ioni a venire fra loro a un accordo: dovevano sottoporre a un tribunale le loro controversie, smetterla con i reciproci saccheggi e ruberie. Li costrinse a stipulare questo patto; poi misurò i loro territori a parasanghe (così i Persiani chiamano l'estensione di trenta stadi) e su tali nuove misure impose a ognuno tributi: tali tributi fissati da Artafrene, rimasti immutati fino a oggi, corrispondevano più o meno alle cifre di prima.

43) Questi furono i provvedimenti pacifici. Poi all'arrivo della primavera, sollevati dall'incarico gli altri generali, il re mandò Mardonio, figlio di Gobria, sulla costa, al comando di un fortissimo esercito di terra e di una numerosa flotta; Mardonio era giovane d'età e aveva da poco sposato una figlia di re Dario, Artozostre. Una volta arrivato in Cilicia alla testa del suo esercito, Mardonio si imbarcò su una nave e partì con il resto della flotta, mentre altri comandanti guidavano la fanteria verso l'Ellesponto. Mardonio costeggiando l'Asia giunse nella Ionia; e qui lascerò di stucco i Greci che non ammettono che Otane fra i sette Persiani abbia espresso la necessità a suo parere di istituire in Persia la democrazia: Mardonio depose i tiranni e instaurò regimi democratici nelle città. Dopodiché si affrettò verso l'Ellesponto. Quando fu radunato un cospicuo potenziale navale, e allestito anche un ingente esercito terrestre, i Persiani tragittarono l'Ellesponto e si misero in marcia attraverso l'Europa, diretti contro Eretria e contro Atene.

44) Eretria e Atene erano il paravento della spedizione, in realtà avevano in mente di sottomettere il maggior numero possibile di città greche; assoggettarono Taso da una parte grazie alla flotta senza incontrare resistenza, e intanto l'esercito di terra aggiungeva i Macedoni alla massa degli schiavi del re: in effetti tutti i popoli al di qua dei Macedoni erano già caduti nelle mani del re. Da Taso si portarono sulla sponda di fronte e navigarono sotto costa fino ad Acanto. Partiti da Acanto, cercarono di doppiare l'Athos. Mentre lo oltrepassavano piombò su di loro un vento di borea forte e contro cui non c'era difesa, che conciò duramente la flotta, scagliando parecchie navi contro l'Athos. Si dice infatti che le navi perdute fossero circa trecento, e oltre 20.000 gli uomini: alcuni perirono ghermiti dagli squali di cui questo tratto di mare intorno all'Athos pullula, altri sbattuti contro gli scogli; chi di loro non sapeva nuotare morì anche per questo, altri assiderati.

45) Ecco la sorte che toccò alla flotta: Mardonio e l'esercito terrestre accampato in Macedonia furono assaliti di notte dai Traci Brigi; i Brigi causarono molte perdite e ferirono persino Mardonio. Ma neppure loro evitarono la servitù persiana, perché Mardonio non si ritirò da queste regioni prima di averli sottomessi. Poi, soggiogatili, riportò indietro le truppe, perché per via di terra era incappato nell'ostacolo dei Brigi e con la flotta in quello, gravissimo, delle acque intorno all'Athos. Questa spedizione dopo l'infelice campagna riprese la strada per l'Asia.

46) L'anno successivo Dario per prima cosa inviò un messaggero ai Tasi, che erano stati falsamente accusati dai loro vicini di macchinare una ribellione, con l'ordine di abbattere le mura e di trasferire le navi ad Abdera. Infatti i Tasi, subíto l'assedio da parte di Istieo di Mileto, e poiché godevano di cospicue entrate, si erano serviti del denaro per costruirsi navi lunghe e innalzare una cinta muraria piuttosto solida. Le loro entrate provenivano dal continente e dalle miniere. Le miniere d'oro di Scapte Ile fruttavano normalmente ottanta talenti, quelle site in Taso stessa un po' meno, ma pur sempre quanto bastava perché complessivamente i Tasi, liberi da imposte sui prodotti della terra, ricavassero dal continente e dalle miniere duecento talenti all'anno, e, al massimo degli introiti, trecento.

47) Ho visto con i miei occhi queste miniere, e le più straordinarie in assoluto erano quelle scoperte dai Fenici che a fianco di Taso colonizzarono l'isola, il cui nome è stato ricavato da questo Taso di Fenicia. Queste miniere fenicie si trovano a Taso fra le località dette Enira e Cenira, in faccia a Samotracia: una grande montagna tutta trivellata dalle ricerche. Così stanno le cose.

48) Obbedendo alle intimazioni del re, i Tasi abbatterono le proprie mura e portarono tutte le navi ad Abdera. In seguito Dario cercava di sondare le intenzioni dei Greci, se volevano fargli la guerra oppure arrendersi. Perciò inviò araldi, un po' dappertutto in Grecia, con l'incarico di esigere terra e acqua per il re. Oltre agli araldi mandati in Grecia, altri ne spedì nelle città costiere sue tributarie con l'ordine di costruire navi lunghe e imbarcazioni adatte al trasporto di cavalli.

49) Tali città dunque allestivano la flotta; intanto agli araldi arrivati in Grecia molti sul continente concessero ciò che esigeva il re persiano; gli isolani a cui giunsero le richieste si adeguarono tutti. Fra gli altri isolani che diedero terra e acqua per Dario ci furono anche gli Egineti. Dopodiché, immediatamente, gli Ateniesi li aggredirono, pensando che gli Egineti l'avessero fatto nutrendo ostilità nei loro confronti, per attaccarli assieme al Persiano; furono ben lieti di appigliarsi a tale pretesto: recandosi a Sparta accusarono gli Egineti di essersi comportati da traditori della Grecia.

50) Di fronte a questa accusa Cleomene figlio di Anassandride, re degli Spartiati, passò a Egina per imprigionare gli Egineti maggiormente responsabili. Ma quando tentò di imprigionarli gli opposero resistenza parecchi Egineti, e fra essi più di tutti Crio figlio di Policrito, il quale dichiarò che Cleomene non si sarebbe portato via impunemente alcun Egineta: agiva senza l'approvazione dello stato spartiata, disse, persuaso dal denaro degli Ateniesi; altrimenti anche l'altro re sarebbe venuto con lui a procedere agli arresti. Parlava così secondo le istruzioni ricevute da Demarato. Cleomene, mentre veniva allontanato da Egina, chiese a Crio come si chiamasse; e Crio glielo disse. Cleomene replicò: "E allora, caprone, rivestiti di bronzo le corna, perché stai per cozzare contro un pesante malanno!".

51) Nel frattempo Demarato figlio di Aristone, rimasto a Sparta, spargeva calunnie su Cleomene. Anche lui era re degli Spartiati, ma del casato meno nobile, inferiore per l'unica ragione, immagino (il capostipite essendo lo stesso), che la stirpe di Euristene per via della primogenitura, è tenuta in maggior onore.

52) Sostengono infatti gli Spartani, in contrasto con tutti i poeti, che fu Aristodemo, figlio di Aristomaco, nipote di Cleodeo e pronipote di Illo, durante il suo regno, a condurli nella regione che oggi occupano, e non i figli di Aristodemo. Non molto tempo dopo Aristodemo ebbe due figli dalla moglie, che si chiamava Argia ed era, si dice, figlia di Autesione e nipote di Tisamene, a sua volta figlio di Tersandro e nipote di Polinice; essa diede alla luce due gemelli; Aristodemo vide i suoi figli e poi morì di malattia. Gli Spartani di allora decisero in base alla legge di nominare re il maggiore dei due; non sapevano però quale scegliere dei due, che erano uguali e identici. Non riuscendo a individuarlo, o anche prima di provarci, interrogarono la madre: essa dichiarò che non li distingueva neppure lei: lo sapeva benissimo, in realtà, ma rispose così sperando che in qualche modo diventassero re tutti e due. Gli Spartani non sapevano come venirne fuori: nell'imbarazzo mandarono una delegazione a Delfi per chiedere come dovevano regolarsi in una simile circostanza; la Pizia li invitò a considerare re entrambi i bambini, ma di tributare maggiori onori al più anziano. Così rispose la Pizia; agli Spartani, ancora alle prese con la difficoltà di individuare il maggiore dei due, giunse un consiglio da un uomo di Messene che si chiamava Panite. Panite suggerì agli Spartani di spiare quale bambino la madre lavasse e sfamasse per primo; se risultava che seguiva sempre lo stesso ordine, essi avrebbero ottenuto quanto cercavano e volevano scoprire; se invece anche la madre oscillava, accudendo per primo una volta l'uno una volta l'altro, era chiaro che neppure lei ne sapeva di più; in tal caso dovevano cambiare strada. Allora gli Spartiati, seguendo il consiglio del Messeno, osservarono che la madre dei figli di Aristodemo seguiva sempre lo stesso ordine nell'allattarli e lavarli, privilegiando il primogenito: lei non sapeva per quale ragione la sorvegliassero. Presero il bambino favorito dalla madre, in quanto primo nato, e lo allevarono nella casa dello stato; a lui posero nome Euristene, al più giovane Procle. Si narra che essi, benché fratelli, una volta adulti, rimasero in costante disaccordo per tutta la vita, e altrettanto continuano a fare i loro discendenti.

53) Questa storia è narrata in Grecia solamente dagli Spartani; ciò che segue lo scrivo in base a quanto affermano i Greci: dico dunque che i re dei Dori sono catalogati esattamente dai Greci risalendo fino a Perseo figlio di Danae, escluso il dio; ed è provato che sono di stirpe greca, poiché già da allora erano annoverati fra i Greci. Ho detto "fino a Perseo", senza spingermi oltre, perché Perseo non porta alcun appellativo derivato da un padre mortale (come succede per Eracle, figlio di Anfitrione); perció, ragionando correttamente, correttamente ho detto "fino a Perseo". A chi voglia enumerare i loro antenati partendo da Danae figlia di Acrisio i capi dei Dori risulterebbero di diretta origine egiziana.

54) Tale dunque la loro genealogia quale viene presentata dai Greci. Secondo i Persiani invece fu Perseo, un Assiro, a divenire Greco, e non i suoi avi; gli antenati di Acrisio che non avevano alcun rapporto di parentela con Perseo, quelli poi, come vogliono i Greci, erano Egiziani.

55) Ma basti al riguardo quanto detto sin qui; perché e con quali imprese ottennero, pur essendo Egiziani, la dignità regale fra gli Spartiati, lo hanno spiegato altri e noi lasceremo perdere; ricorderò invece ciò che gli altri hanno trascurato.

56) Ecco le prerogative assegnate ai re dagli Spartiati: due sacerdozi, di Zeus Spartano e di Zeus Uranio, la facoltà di dichiarare guerra al paese che vogliono, senza che alcuno Spartiata possa opporsi (altrimenti si macchia di sacrilegio). In marcia i re precedono l'esercito e sono gli ultimi a ritirarsi; cento uomini scelti vegliano su di loro nell'esercito; possono immolare quante vittime vogliono durante le spedizioni in terra straniera; spettano a loro le pelli e le terga di tutti gli animali sacrificati.

57) Questo in tempo di guerra; veniamo ora ai privilegi del tempo di pace. Se si fa un sacrificio pubblico, i re si siedono per primi a banchetto, e si comincia da loro assegnando a entrambi, sempre, porzioni doppie rispetto agli altri convitati; a essi toccano l'onore di dare inizio alle libagioni e le pelli degli animali sacrificati. Ad ogni novilunio e il settimo giorno del mese ricevono in dono, a spese dello stato, una vittima adulta, da condurre al tempio di Apollo, un medimno di farina e la quarta parte di una misura spartana di vino. In tutte le competizioni hanno diritto a posti in prima fila. Possono designare chi vogliono tra i cittadini come prosseno e scegliersi ciascuno due Pizii; i Pizii hanno l'incarico di consultare l'oracolo di Delfi e sono mantenuti dallo stato assieme ai re. Se i re non partecipano al banchetto gli si manda a casa due chenici di farina a testa e una cotila di vino, quando sono presenti gli si offre tutto in misura doppia; ricevono lo stesso onore anche quando sono invitati a tavola da dei privati cittadini. Essi devono custodire le profezie oracolari, note anche ai Pizii. Soltanto i re amministrano la giustizia nei seguenti casi: se una figlia risulta unica erede di tutti i beni paterni, e il padre non l'ha promessa a nessuno, decidono chi la sposerà; e decidono anche circa le pubbliche strade; chi poi vuole adottare un figlio, deve farlo alla presenza dei re. Essi prendono parte al consiglio degli anziani, che sono ventotto; se i re non sono presenti alla seduta, i due geronti più vicini a loro per parentela ne assumono le prerogative, disponendo ciascuno di due voti più un terzo, il proprio.

58) Questo assegna lo stato spartiata ai due re mentre sono in vita; ma ci sono anche onori dopo la morte. Dei cavalieri diffondono la notizia in tutta la Laconia, in ogni città delle donne girano per le strade percuotendo lebeti. Dopodiché di regola in ogni casa due persone libere prendono il lutto, un uomo e una donna; se non lo fanno, incorrono in dure punizioni. Circa i defunti, vige fra gli Spartani la stessa consuetudine in vigore fra i barbari in Asia: in effetti la maggior parte delle popolazioni barbare si comporta allo stesso modo in occasione della morte dei re. Quando muore un re degli Spartani, da tutta Sparta devono recarsi al funerale, a prescindere dagli Spartiati, i perieci, in un determinato numero: quando si sono riuniti in parecchie migliaia, fra iloti, perieci e Spartiati stessi, donne e uomini assieme si percuotono la fronte e si abbandonano a un compianto senza fine, affermando ogni volta che l'ultimo re defunto è stato il migliore. Se un re è caduto in guerra, ne preparano un'effigie e la trasportano alla tomba su una lettiga riccamente preparata. Dopo le esequie per dieci giorni nessuna assemblea ha luogo e non si svolgono raduni elettorali: si rispetta il lutto per tutti questi giorni.

59) Coi Persiani c'è corrispondenza anche in un altro fatto. Quando alla morte di un re un successore sale sul trono, il sovrano entrante libera tutti gli Spartiati in debito verso la corona e lo stato; ugualmente, in Persia, il re che si insedia condona a tutte le città il tributo dovuto.

60) In quanto segue gli Spartani e gli Egiziani sono simili: presso di loro araldi, flautisti e cuochi ereditano il mestiere paterno: ogni flautista è figlio di un flautista, ogni cuoco di un cuoco, ogni araldo di un araldo; questi ultimi non risultano mai esclusi da altri voltisi a tale professione per la potenza della voce, ma continuano la tradizione paterna. Così stanno le cose.

61) All'epoca, dunque, Demarato calunniava Cleomene, il quale si trovava a Egina e si dava da fare per il bene comune della Grecia; e lo calunniava non per sollecitudine verso gli Egineti, ma per invidia e rancore. Cleomene, di ritorno da Egina, meditava di esautorare Demarato prendendo spunto contro di lui dal fatto che ora vi narro. Aristone, re di Sparta, aveva sposato due donne senza averne dei figli; non ammettendo di essere lui il colpevole, ne sposò una terza come segue. Aristone aveva per amico uno Spartiata al quale era legato più che a qualsiasi altro cittadino. Costui, per l'appunto, aveva in moglie la donna decisamente più bella di Sparta, divenuta splendida da molto brutta che era. Tanto è vero che la sua nutrice vedendone il poco pregevole aspetto e che i genitori se ne facevano un cruccio (la sgraziata ragazza era figlia di gente benestante), di fronte a tutto questo, ecco che cosa escogitò: ogni giorno la portava al tempio di Elena, che si trova in una località chiamata Terapne, oltre il tempio di Febo; tutte le volte che ve la portava, la nutrice la poneva di fronte alla statua della dea e la scongiurava di scacciare la bruttezza da quella bambina. Ebbene, si narra che un giorno alla nutrice di ritorno dal tempio apparve una donna, la quale, una volta comparsa, le domandò che cosa avesse in braccio; e la nutrice rispose che portava una neonata; la donna la invitò a mostrargliela e lei si rifiutò perché i genitori le avevano proibito di mostrarla a chiunque. Ma la donna insistette pervicacemente e la nutrice, vedendo che essa ci teneva moltissimo a dare un'occhiata alla bambina, gliela fece vedere. La donna toccò la testa dell'infante e dichiarò che sarebbe diventata la più bella donna di Sparta. Da quel giorno l'aspetto cominciò a mutare; giunta all'età delle nozze, la prese in moglie Ageto figlio di Alcide, l'amico appunto di Aristone.

62) Aristone ardeva d'amore per questa donna e ideò un imbroglio. Promise all'amico, di cui lei era la moglie, di regalargli di tutti i suoi beni ciò che avesse voluto e invitò il compagno a fare altrettanto. L'amico, che non temeva nulla circa sua moglie, poiché vedeva che Aristone ne aveva già una, accettò la proposta: entrambi si impegnarono con giuramento, Aristone regalò l'oggetto, quello che era, scelto da Ageto, poi cercando di ottenere il contraccambio tentava di portargli via la moglie. Tranne quell'unico bene, tutti gli altri glieli avrebbe accordati; così disse Ageto, ma costretto dal giuramento e fuorviato dal raggiro gliela lasciò portar via.

63) In tal modo Aristone, ripudiata la seconda moglie, poté sposare la terza. In un tempo più breve del normale, senza che fossero trascorsi i dieci mesi, questa donna diede alla luce Demarato. Uno dei servi portò ad Aristone mentre sedeva a consiglio con gli efori la notizia che gli era nato un figlio. E lui, che sapeva bene quando aveva sposato sua moglie, contando i mesi sulle dita, dichiarò solennemente: "Non può essere mio!". Gli efori udirono questa frase, comunque lì per lì non vi fecero caso. Il bambino cresceva e Aristone si pentì della sua affermazione; si era convinto, infatti, che Demarato fosse senz'altro figlio suo. Fu chiamato Demarato per la seguente ragione. Prima di questi avvenimenti gli Spartiati avevano innalzato pubbliche preghiere perché nascesse un figlio ad Aristone, un uomo davvero illustre fra tutti i re saliti sul trono a Sparta; per questo gli fu posto nome Demarato.

64) Passò del tempo; Aristone morì e Demarato assunse il potere regale. Ma, come pare, era destino che queste cose, una volta conosciute, mettessero fine al suo regno; Demarato era stato in aspro disaccordo con Cleomene già prima, quando si era ritirato da Eleusi con le truppe, e lo fu in particolare in quell'occasione allorché Cleomene si mosse contro gli Egineti passati dalla parte dei Medi.

65) Avido di vendetta, Cleomene si accordò con Leotichide, figlio di Menare e nipote di Agio, della stessa famiglia di Demarato, promettendogli il titolo di re al posto di Demarato, se si impegnava, dopo, a seguirlo contro gli Egineti. Leotichide aveva concepito un odio profondo nei confronti di Demarato per il seguente episodio. Quando Leotichide era già in parola con Percalo, figlia di Chilone e nipote di Demarmeno, Demarato con le sue manovre gli mandò a monte le nozze battendolo sul tempo nel rapire Percalo e nel farne sua moglie. Per questo era nata l'inimicizia di Leotichide per Demarato; allora per istigazione di Cleomene accusò Demarato dichiarando sotto giuramento che regnava sugli Spartiati senza averne diritto, perché non era figlio di Aristone. E dopo l'accusa giurata lo citò in giudizio, riesumando la frase pronunciata da Aristone quando un servo era venuto ad annunciargli la nascita di un figlio: Aristone calcolando i mesi aveva proclamato che quello non era figlio suo. Appoggiandosi a tale affermazione Leotichide mirava a dimostrare che Demarato non era figlio di Aristone e che regnava su Sparta senza averne diritto: come testimoni produsse gli efori che allora erano presenti in consiglio e avevano udito Aristone.

66) Ebbene poiché il fatto era controverso, gli Spartiati decisero di chiedere all'oracolo di Delfi se Demarato era figlio di Aristone. Ma il ricorso alla Pizia era stato previsto da Cleomene; perció egli si garantì l'appoggio di Cobone figlio di Aristofanto, persona assai influente a Delfi, il quale Cobone convinse la profetessa Perialla a dire ciò che Cleomene voleva fosse detto. E così la Pizia, quando gli inviati al santuario la interrogarono, sentenziò che Demarato non era figlio di Aristone. In tempi successivi, poi, la faccenda venne alla luce, Cobone se ne andò esule da Delfi e la profetessa Perialla fu sollevata dal suo compito.

67) Così andarono le cose circa la destituzione di Demarato. Demarato, poi, riparò presso i Medi, abbandonando Sparta, per l'oltraggio seguente. Dopo la sua detronizzazione, Demarato continuava a ricoprire una carica a cui era stato eletto. Era il giorno delle Gimnopedie e Demarato vi assisteva; allora Leotichide, ormai salito sul trono al posto suo, gli mandò un servo a chiedergli, per scorno e derisione, che effetto gli facesse ricoprire una piccola carica dopo essere stato re. Ferito dalla domanda, Demarato ribatté che lui aveva già esperimentato entrambe le condizioni, ma Leotichide no, e che la sua domanda avrebbe segnato l'inizio per gli Spartani di infiniti guai o di una grande prosperità. Detto ciò, si coprì la testa e uscì dal teatro per tornarsene a casa; allestito subito il necessario, immolò un bue a Zeus; poi, dopo il sacrificio, chiamò la madre.

68) Quando la madre giunse, Demarato le mise in mano parte delle viscere dell'animale e la supplicò con queste parole: "Madre, io, appellandomi a tutti gli dèi e a Zeus Erceio, qui, ti prego di dirmi la verità: chi è veramente mio padre? Leotichide nello scontro che ci ha opposti sostenne che tu eri entrata in casa di Aristone già incinta del precedente marito, altri affermano con un discorso ancora più assurdo che sei andata a letto con il servo che pascola gli asini e che io ne sono il figlio. Io dunque ti scongiuro per gli dèi di rivelarmi la verità; tanto, se hai fatto ciò che si dice, non sei certamente la sola donna, anzi sei in numerosa compagnia; è voce generale a Sparta che Aristone non avesse seme adatto a procreare: altrimenti avrebbero partorito anche le mogli precedenti".

69) A tali parole la madre rispose: "Figlio mio, poiché mi preghi e mi supplichi di comunicarti la verità, la saprai tutta. Quando Aristone mi condusse in casa sua, tre notti dopo la prima, mi apparve un fantasma con le sembianze di Aristone: giacque con me e pose sul mio capo le corone che portava. Poi se ne andò e più tardi venne Aristone. Come vide che avevo delle corone, mi chiese chi me le avesse date. E io gli risposi: "Tu". Lui diceva di no, e io confermavo con giuramenti, osservando che era venuto davvero poco prima, e si era coricato con me e mi aveva dato le corone. Aristone, vedendomi giurare, capì che il fatto aveva del divino. Le corone si rivelarono provenienti dall'eroon piazzato presso le porte del cortile, eroon detto di Astrabaco; d'altra parte gli indovini, interrogati, rispondevano trattarsi di questo stesso eroe. Così, figlio mio, ora sai tutto quello che volevi: o sei nato da questo eroe e quindi tuo padre è l'eroe Astrabaco, oppure è Aristone; io ti ho concepito in quella notte. Quanto al punto su cui i tuoi nemici basano i loro attacchi, sostenendo che Aristone stesso, quando gli fu annunciata la tua nascita, negò in presenza di molti testimoni, che tu fossi suo figlio (perché il tempo, i dieci mesi giusti, non erano ancora trascorsi), ebbene quella frase gli scappò per ignoranza di queste cose: le donne partoriscono di nove o di sette mesi, non tutte portano a termine i dieci; figlio, io ti ho dato alla luce di sette mesi. Lo stesso Aristone, non molto dopo, riconobbe di essere sbottato a sproposito. Altre chiacchiere circa la tua nascita respingile; la verità autentica l'hai udita ora. E dagli asinari possano avere figli le mogli di Leotichide e di quanti mettono in giro queste voci!".

70) Così parlò la donna, e lui, appreso ciò che voleva, prese con sé l'occorrente per un viaggio e partì per l'Elide, raccontando invece che si recava a Delfi per consultare l'oracolo. Ma gli Spartani, sospettando che Demarato tentasse la fuga, si gettarono al suo inseguimento. Demarato in qualche maniera riuscì a passare dall'Elide a Zacinto prima di loro, ma gli Spartani, sbarcati dietro di lui, lo raggiunsero e lo privarono del seguito. Ma poi, dato che gli abitanti di Zacinto non volevano consegnarlo, da lì poté trasferirsi in Asia presso re Dario: Dario lo accolse con tutti gli onori e gli donò terra e città. Ecco dunque attraverso quali vicissitudini Demarato giunse in Asia, lui che più e più volte aveva dato lustro a Sparta con l'azione e i consigli; e in particolare aveva assicurato loro una corona olimpica, vincendo nella corsa delle quadrighe, unico a riuscirci fra tutti i re che mai regnarono a Sparta.

 

 

                                                                                     

 

           

 

  

 

 

 

 

 

 

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