LE DODICI TAVOLE DELL'EPOPEA DI GILGAMESH

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I timori di Siduri


Siduri, la taverniera che vive (lontano), sulla riva del mare, colei che vive // basamenti per le brocche sono fatti per lei, brocche d'oro sono fatte per lei, essa è rivestita di abiti e // Gilgamesh errava attorno e // era rivestito soltanto di una pelle... // egli aveva sì carne degli dei nel corpo, ma angoscia albergava nel suo cuore. La sua faccia era come quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze. La taverniera lo vede da lontano, si consulta nel suo cuore e pronuncia le parole, con se stessa essa si consulta "Forse quest'uomo è un assassino, egli sta andando in qualche posto per uccidere". La taverniera lo osservò e sbarrò la porta. Tirò il chiavistello e vi appose il catenaccio. Ma egli, Gilgamesh, si accorse di ciò, sollevò il suo mento e si diresse verso la porta. Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera: "Taverniera, perché dopo avermi guardato, hai sbarrato la tua porta? Hai tirato il chiavistello e apposto il catenaccio? potrei abbattere la porta, far saltare il chiavistello, // di me // nella steppa" La taverniera così parlò a lui, a Gilgamesh://


Il patimento di Gilgamesh


Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera: // "Io ho ucciso Khubaba, colui che viveva nella Foresta dei Cedri, io ho ucciso i leoni che ho incontrato nei passi di montagna". La taverniera allora disse a lui, a Gilgamesh: "Se tu sei veramente Gilgamesh, colui che uccise il guardiano, abbatté Khubaba che viveva nella Foresta dei Cedri, che sgozzò i leoni nei passi di montagna, che affrontò il Toro celeste che An aveva mandato giù dal cielo e lo uccise, perché le tue guance sono così emaciate e la tua faccia stanca? Perché il tuo cuore è così confuso e il tuo sguardo assente? Perché regna angoscia nel profondo del tuo essere? Perché la tua faccia è simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Perché la tua faccia porta i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, tu vaghi nella steppa? Gilgamesh a lei parlò, così disse alla taverniera: "Non dovrebbero le mie guance essere così emaciate e la mia faccia stanca? Non dovrebbe il mio cuore essere così confuso e il mio sguardo assente? Non dovrebbe regnare angoscia nel profondo del mio essere? Non dovrebbe la mia faccia essere simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Non dovrebbe la mia faccia portare i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, non dovrei io vagare nella steppa? L'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, Enkidu, l'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, noi, dopo esserci incontrati, abbiamo scalato assieme la montagna abbiamo catturato il Toro celeste e lo abbiamo ucciso, abbiamo abbattuto Khubaba, che viveva nella Foresta dei Cedri, abbiamo ucciso nei passi di montagna i leoni l'amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, Enkidu che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, ha seguito il destino dell'umanità. Per sei giorni e sette notti io ho pianto su di lui, né ho permesso che fosse seppellito, fino a che un verme non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho avuto paura della morte, ho cominciato a tremare e ho vagato nella steppa. La sorte del mio amico pesa su di me: per sentieri lontani ho vagato nella steppa. La sorte di Enkidu, il mio amico, pesa su di me: per sentieri lontani ho vagato nella steppa. Come posso io essere tranquillo, come posso io essere calmo? L'amico mio che amo è diventato argilla; Enkidu, l'amico mio che amo, è diventato argilla. Ed io non sono come lui? Non dovrò giacere pure io e non alzarmi mai più per sempre?".


Gilgamesh richiede aiuto


Gilgamesh, parlò a lei, alla taverniera: "Ora, o taverniera, qual è la via per arrivare ad Utanapishtim? Indicami la direzione, qualunque essa sia; dammi le coordinate! Se è necessario attraverserò il mare, se no, vagherò nella steppa". La taverniera così parlò a lui, a Gilgamesh: "O Gilgamesh, non c'è stato mai un traghetto e nessuno da tempo immemorabile ha mai attraversato il mare; Shamash, il guerriero, è l'unico che attraversa il mare; al di fuori di Shamash chi può mai attraversarlo? La traversata è difficile, la via piena di insidie; e nel mezzo vi sono acque mortali che impediscono la navigazione. Come puoi quindi tu Gilgamesh attraversare il mare? Ed una volta che hai raggiunto le acque mortali, cosa farai? In verità vi è, o Gilgamesh, il traghettatore di Utanapishtim, Urshanabi. Egli, che potrai riconoscere dalle stele di pietra, nel bosco taglia tronchi d'alberi. Va'! Possa egli vedere la tua faccia! Se è possibile, attraversa con lui il mare, altrimenti torna indietro".


Gilgamesh con il traghettatore di Utanapishtim


Quando Gilgamesh udì ciò,prese l'ascia al suo fianco, sfoderò la spada dalla sua guaina, si inoltrò nel bosco e scese incontro ad esse : come una freccia egli si buttò tra queste. In mezzo al bosco si udì un boato, Urshanabi guardò e scorse l'essere splendente; prese quindi un'ascia e lo affrontò: con essa colpì la sua testa, la testa di Gilgamesh. Lo prese per le braccia e gli mise i piedi sul petto. E le stele di pietra // della nave, senza le quali non sono percorribili le acque di morte, // e il grande mare; nel fiume // furono trattenute. Egli le colpì e le buttò nel fiume. // nave, e // sulla sponda. Gilgamesh così parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere: "//sono entrato, // a te". Urshanabi parlò allora a lui, a Gilgamesh: "Perché le tue guance sono così emaciate e la tua faccia stanca? Perché il tuo cuore è così confuso e il tuo sguardo assente? Perché regna angoscia nel profondo del tuo essere? Perché la tua faccia è simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Perché la tua faccia porta i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, tu vaghi nella steppa? Gilgamesh così parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere: "Non dovrebbero le mie guance essere così emaciate e la mia faccia stanca? Non dovrebbe il mio cuore essere così confuso e il mio sguardo assente? Non dovrebbe regnare angoscia nel profondo del mio essere? Non dovrebbe la mia faccia essere simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Non dovrebbe la mia faccia portare i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, non dovrei io vagare nella steppa? L'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, Enkidu, l'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, noi, dopo esserci incontrati, abbiamo scalato assieme la montagna abbiamo catturato il Toro celeste e lo abbiamo ucciso, abbiamo abbattuto Khubaba, che viveva nella Foresta dei Cedri, abbiamo ucciso nei passi di montagna i leoni, l'amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, Enkidu che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, ha seguito il destino dell'umanità. Per sei giorni e sette notti io ho pianto su di lui, fino a che un verme non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho avuto paura della morte, ho cominciato a tremare e ho vagato nella steppa. La sorte del mio amico pesa su di me: per sentieri lontani ho vagato nella steppa. per vie lontane ho vagato nella steppa. Come posso io essere tranquillo, come posso io essere calmo? L'amico mio che amo è diventato argilla; ed io non sono come lui? Non dovrò giacere pure io e non alzarmi mai più?". Gilgamesh così parlò a lui, ad Urshanabi il battelliere: "Ora, o Urshanabi, qual è la via per arrivare da Utanapishtim? Indicami la direzione, qualunque essa sia. Dammi le coordinate; se è necessario attraverserò il mare, se no, vagherò nella steppa". Urshanabi così parlò a lui, a Gilgamesh: "Le tue mani, o Gilgamesh, sono incapaci di portarti attraverso il mare, tu hai abbattuto le stele di pietra e le hai buttate nel fiume; le stele di pietra sono abbattute e queste sono allontanate. Prendi ora un'ascia, o Gilgamesh, al tuo fianco; va' giù nel bosco e taglia pali di trenta metri ognuno; spiana i tronchi e applica dei pomelli su di essi, portali quindi a me //” Quando Gilgamesh udì ciò, prese un'ascia al suo fianco, sfoderò la spada dalla sua guaina, scese giù nel bosco e tagliò pali di trenta metri ognuno, egli li spianò ed applicò dei pomelli, li portò quindi ad Urshanabi;


Navigando nelle acque della morte


e così Gilgamesh e Urshanabi si imbarcarono sulla nave, essi fecero salpare la nave e si misero in viaggio. Il percorso di un mese e quindici giorni in direzione del paese di //, essi lo compirono in soli tre giorni. Così giunse Urshanabi alle acque di morte. Allora Urshanabi parlò a lui, a Gilgamesh: "Stai indietro Gilgamesh! Prendi un palo, le acque di morte non devono sfiorare la tua mano //; un secondo, un terzo e un quarto palo prendi o Gilgamesh; un quinto, un sesto e un settimo palo prendi o Gilgamesh; un ottavo, un nono e un decimo palo prendi o Gilgamesh; un undicesimo, un dodicesimo palo prendi o Gilgamesh". Giunto a centoventi, Gilgamesh aveva esaurito tutti i pali. Allora egli slacciò la sua cintura per legarli, quindi Gilgamesh si spogliò dei suoi vestiti, e con le sue braccia li arrotolò attorno all'albero della nave. Utanapishtim osserva la scena da lontano, consultandosi con sé stesso pronuncia le parole, in verità egli va riflettendo tra sé: "Perché sono state divelte le stele di pietra a cui era attraccata la nave e senza le quali non è possibile attraversare il mare? Colui che viene da me non è dei miei, e // Io guardo ma non lo riconosco; io guardo ma non lo riconosco; io guardo ma non lo riconosco; chi viene da me? //


L'incontro con l'eroe del diluvio Utanapishtim


Utanapishtim così parlò a lui, a Gilgamesh: "Perché le tue guance sono così emaciate e la tua faccia stanca? Perché il tuo cuore è così confuso e il tuo sguardo assente? Perché regna angoscia nel profondo del tuo essere? Perché la tua faccia è simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Perché la tua faccia porta i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, tu vaghi nella steppa? Gilgamesh così parlò a lui, a Utanapishtim: "Non dovrebbero le mie guance essere così emaciate e la mia faccia stanca? Non dovrebbe il mio cuore essere così confuso e il mio sguardo assente? Non dovrebbe regnare angoscia nel profondo del mio essere? Non dovrebbe la mia faccia essere simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Non dovrebbe la mia faccia portare i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, non dovrei io vagare nella steppa? L'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, Enkidu, l'amico mio, il mulo imbizzarrito, l'asino selvatico delle montagne, il leopardo della steppa, noi, dopo esserci incontrati, abbiamo scalato assieme la montagna abbiamo catturato il Toro celeste e lo abbiamo ucciso, abbiamo abbattuto Khubaba, che viveva nella Foresta dei Cedri, noi abbiamo ucciso nei passi di montagna i leoni; l'amico mio che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, Enkidu che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, ha seguito il destino dell'umanità. Per sei giorni e sette notti io ho pianto su di lui, né ho permesso che fosse seppellito, fino a che un verme non è uscito fuori dalle sue narici. Io ho avuto paura della morte, ho cominciato a tremare e ho vagato nella steppa. La sorte del mio amico pesa su di me: per sentieri lontani ho vagato nella steppa. La sorte di Enkidu, il mio amico, pesa su di me: per sentieri lontani ho vagato nella steppa. Come posso io essere tranquillo, come posso io essere calmo? L'amico mio che amo è diventato argilla; Enkidu, l'amico mio che amo, è diventato argilla; ed io non sono come lui? Non dovrò giacere pure io e non alzarmi mai più per sempre?". Gilgamesh parlò a lui, a Utanapishtim: "Per poter raggiungere te, Utanapishtim il lontano, del quale parlano gli uomini, io girovagai andando in ogni dove, attraversai paesi pieni di insidie, e navigai per tutti i mari; il mio viso non assaporò sufficientemente il dolce sonno; mi ammalai quasi per mancanza di sonno; il mio cuore era pieno di angoscia. Che cosa ho guadagnato con le mie fatiche? Non sono stato accolto bene dalla taverniera, perché i miei vestiti erano strappati; ho ucciso orsi, iene, leoni, leopardi, tigri, cervi, stambecchi, bovini ed altre bestie selvagge della steppa; ho mangiato la loro carne, ho buttato via le loro pelli. Possa la sua porta essere sbarrata dall'angoscia, con pece e bitume essa sia resa impermeabile! Per me non c'è  protezione alcuna, le mie disavventure mi hanno ridotto in miseria!"


La delusione di Gilgamesh


Utanapishtim parlò a lui, a Gilgamesh: "Perché, o Gilgamesh, vuoi prolungare il tuo dolore? Tu, che gli dei hanno creato con la carne degli dei e di uomini; tu, che gli dei hanno fatto simile a tuo padre e a tua madre, proprio tu, Gilgamesh, ti sei ridotto come un vagabondo! Eppure, per te un trono è stato deciso nell'assemblea degli dei, mentre per il vagabondo è stata destinata feccia invece di ambrosia; i rifiuti e la spazzatura sono per lui come nettare, egli è vestito di stracci, // come una cintura viene buttato via; poiché egli non ha senno né saggezza, egli non possiede intendimento, // Gilgamesh, allora, alzò i suoi occhi e disse: "Chi, (se non) il loro signore può riempirli di //, Sin e Marduk? // Sin e Marduk // si sono alzati gli dei // agendo senza sosta // da quando // e tu pianifichi e // la tua compagnia //Se Gilgamesh si cura dei santi templi degli dei // i sacri santuari // gli dei //  umanità essi lo anno condotto al suo destino. Perché ti sei agitato tanto? Che cosa hai ottenuto? Ti sei indebolito con tutti i tuoi affanni; hai soltanto riempito il tuo cuore di angoscia. Hai soltanto avvicinato il giorno lontano della verità.


La triste verità di Utanapishtim


L'umanità è recisa come canne in un canneto. Sia il giovane nobile, come la giovane nobile sono preda della morte. Eppure nessuno vede la morte, nessuno vede la faccia della morte, nessuno sente la voce della morte. La morte malefica recide l'umanità. Noi possiamo costruire una casa, possiamo costruire un nido, i fratelli possono dividersi l'eredità, vi può essere guerra nel paese, possono i fiumi ingrossarsi e portare inondazione:// libellule che sorvolano il fiume il loro sguardo si rivolge al sole, e subito non c'è più nulla. Il prigioniero e il morto come si assomigliano l'un l'altro! Nessuno può disegnare la sagoma della morte; l'uomo primordiale è un uomo prigioniero. Dopo avermi benedetto, gli Anunnaki, i grandi dei, sedettero a congresso; Mammitum, colei che crea i destini, ha decretato assieme al loro destino: essi hanno stabilito morte e vita; i giorni della morte essi non hanno contato a differenza di quelli della vita". Gilgamesh parlò a lui, al lontano Utanapishtim.

 

   

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